mercoledì 21 aprile 2010

Infanzia sul prato.


Premessa 1: Come accennato altre volte, è un piacere assistere (seduti a pochi metri dal palchetto) ad un concerto di musica classica dal vivo. La danza fatta di rimandi, richiami, accenni, rincorse tra uno strumento e l'altro, tra un musicista e l'altro, tra un suo sguardo e l'altro, è qualcosa che ho imparato in quest'anno di concerti berlinesi gratuiti a osservare prima e ad assaporare poi.

Premessa 2: Ultimamente mi capita sempre più spesso di seguire lunghi tratti di questi concerti ad occhi chiusi. All'inizio sentivo l'esigenza di vedere i musicisti all'opera nell'atto di suonare. Oggi mi "limito" a guardarli con gli occhi chiusi.

Col tempo ho imparato a riconoscere la differenza di suono tra un violino, una viola ed un violoncello, e chiudendo gli occhi mi riesco a concentrare di più sulle relazioni, i messaggi che la partitura suggerisce tra gli strumenti.


Storia: Il fatto, poi, che oggi a suonare violino, viola e violoncello ci fossero tre fratelli, ha fatto in modo che la suggestione mi suggerisse immagini molto precise.

Sono state tante, lungo tutto l'arco del concerto, e scriverle a distanza forse ha poco senso, ma proverò a scriverne qualcuna.
Li ho immaginati bambini, a condividere l'infanzia, o semplicemente qualche parte (qualche ora) di essa. Me li son visti correre, inseguendosi su un prato (dev'esser stato durante "l'Allegretto" o "l'Andante"..). E l'unica cosa che contava, in quel loro istante che mi sono immaginato, era raggiungere gli altri due davanti, o staccare e non farsi raggiungere da quello dietro.
In quell'istante (forse fermato nella loro testa, forse no..), l'unico pensiero, desiderio, l'unica speranza, è stata quella di correre.

Correre fino a sentire arrivare il sudore tra i capelli e sopra al labbro superiore. E per un pò il sapore di quel sudore si dev'essere mischiato all'odore dei prati intorno a casa.

Stavano correndo. Senza nessun motivo. Perchè c'è un'età in cui il gioco è semplicemente correre.

Nessuna destinazione precisa, nessun piano; dentro una felicità che probabilmente equivocarono pensando che fosse il sentimento che si prova per tutta la vita. Anche da grandi. Avrebbero solo più tardi scoperto la complessità che riempie i cuori degli adulti, che la maggior parte delle volte occupa lo spazio che è stato di quella gioia.

Avrebbero forse avuto sentore (e qui deve essersi fatto sentire il violoncello..), forse nel momento del timore di non raggiungere o di esser raggiunti (oppure in quello del pensiero dei genitori che aspettavano a casa), di qualcosa che da grandi avrebbero chiamato nostalgia.

Ma poi quel cuore pulsante, unica fonte di pensiero nel correre assieme ai propri fratelli, avrebbe ripreso il sopravvento.


E loro, oggi, erano quà a raccontarci tutto questo, o tutt'altro.
I loro volti puliti, associati al suono dei loro occhi, sembravano anche dirci una cosa importante.

"Siamo tre fratelli. Siamo qui e, in un certo senso, ce l'abbiamo fatta. Siam riusciti a portar fin qui questa relazione, questo sentimento tra noi. Siamo stati più forti delle nostre differenze, le abbiam fatte nostre e oggi suoniamo noi tre davanti a tutti voi." Mozart.


Alla prossima